sabato 8 ottobre 2016

CINQUE MOTIVI PER DIRE NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE

CINQUE MOTIVI PER DIRE NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE
La riforma costituzionale non abolisce il Senato, abolisce il voto dei cittadini.
Il nuovo Senato della Repubblica, con il nuovo testo, viene nominato direttamente dai consigli regionali; ogni Senatore nominato e non eletto, gode di immunità parlamentare e resta in carica per il tempo di scadenza del suo mandato da consigliere o di sindaco. Situazione quest’ultima che provocherebbe un continuo avvicendamento nella carica di senatore anche nel corso dei lavori stessi del Senato o delle sue commissioni, con aggravio dei tempi di discussione. La nomina dei Senatori da parte dei consigli regionali, potrebbe produrre altresì una maggioranza politica al Senato diversa da quella della Camera.
La riforma costituzionale non riduce in modo sostanziale i costi della politica.
Tutte le strutture senatoriali rimangono attive e con esse i relativi costi di gestione, La riduzione dei costi riguarderebbero esclusivamente gli emolumenti relativi ai senatori, ossia il 5% della spesa complessiva attuale del Senato della Repubblica.
La nuova riforma non semplifica i lavori parlamentari.
La ventilata semplificazione dei lavori parlamentari altro non è che una vera e propria presa per i fondelli; infatti, secondo l’art.70,  la stragrande maggioranza delle leggi da approvare, restano a carico delle due camere, mentre quelle di esclusiva competenza della Camera dei Deputati, devono comunque essere trasmesse al Senato che può proporre modifiche da sottoporre nuovamente all’esame della Camera dei Deputati. Questo comporterebbe, nel caso di maggioranze politicamente diverse nei due rami del Parlamento,  un aggravio sostanziale dei tempi di approvazione delle leggi, che attualmente ha una tempistica media di approvazione di 45 giorni ( la legge Fornero è stata approvata in 16 giorni).
La riforma costituzionale limita la partecipazione dei cittadini alla vita democratica.
Con questa riforma non solo ai cittadini viene impedito di eleggere direttamente i propri rappresentanti in seno al Senato della repubblica, venendo meno al principio fondamentale della costituzione che la sovranità appartiene al popolo, ma ne limita di fatto la possibilità di partecipazione diretta mediante la proposizione di disegni di legge mediante petizione popolare. Infatti secondo il nuovo art.71, il numero di firme necessarie per la proposta di legge da parte dei cittadini passa da cinquantamila a centocinquantamila, impedendo di fatto a quei territori con un limitato numero di abitanti o alle minoranze linguistiche e religiose di poter partecipare alla vita pubblica con proprie proposte da sottoporre all’esame del Parlamento.
La riforma limita di fatto l’autonomia delle Regioni.
Secondo il nuovo titolo V tutta una serie di argomenti che erano di competenza dei consigli regionali passano ad essere esclusiva prerogativa dello Stato, compreso le disposizioni in materia ambientale ed energetica territoriale. Quello che di fatto era stato anticipato con la legge “sblocca Italia” in materia di ricerche di idrocarburi e trivellazioni togliendo la  competenza ai consigli regionali.

Sono questi solo alcuni dei punti della pasticciata riforma voluta dal governo per i quali personalmente ritengo indispensabile che i cittadini esprimano il loro dissenso al fine di garantire il legittimo diritto di tutti i cittadini, di tutte le minoranze e di. tutti i territori alla partecipazione alla vita politica dello Stato, cosi come previsto dalla parte fondamentale della Costituzione

mercoledì 28 settembre 2016

Qui urge un T.S.O.

Qui urge un T.S.O.
Per favore qualcuno chiami il 118; credo sia giunto il momento, abbastanza urgente a mio avviso, che il nostro premier sia sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio, per il suo ed il nostro bene.
Ormai non siamo più al chi la spara più grossa; le balle di berlusconiana memoria, l’ici sulla prima casa, la riduzione delle tasse, la nipote di Mubarak e via dicendo, sono nulla in confronto alle fesserie che ci propina un giorno si e l’altro pure il nostro buffoncello di corte. L’ultima in ordine di tempo, ma sicuramente non l’ultima in assoluto visto l’andazzo, è il ponte sullo stretto di Messina e i centomila posti di lavoro; ora ci manca solo che faccia sorgere il sole a mezzanotte e saremo diventati per davvero il Paese delle meraviglie, non più quello delle banane.
Ma davvero crede che gli italiani siano cosi fessi? E si che siamo un Paese di creduloni, ma di fronte a balle cosi grosse anche il primo degli idioti scoppierebbe in una sonora risata.
Dai, mettetegli la camicia di forza.
Ora scherzi a parte, qui veramente ci troviamo di fronte alla faccia tosta più spudorata che l’Italia abbia mai conosciuto. La Vanna Marchi per davvero a Renzi gli fa un baffo. Ci troviamo di fronte alla più sporca delle azioni che una forza politica, il PD, abbia mai messo in campo per carpire la buona fede degli elettori.
Il quesito referendario dapprima è una truffa anticostituzionale per nascondere dietro ad un ipotetico taglio dei costi della politica il vero obbiettivo di rendere il nostro Parlamento sempre più esautorato dei propri poteri e di conseguenza impedire al popolo di poter esercitare democraticamente il proprio sacrosanto diritto alla sovranità; a seguire le faraoniche e improbabili promesse di elargizioni in moneta ai giovani diciottenni o ai pensionati al minimo, con la ciliegina sulla torta del ponte di Messina a far da dessert ad una vergognosa campagna elettorale che punta solo ad evitare una sonora presa a calci nei fondelli da parte del popolo il prossimo 4 dicembre.
Tutto questo mentre in sordina si aumentano i tiket sulle prestazioni sanitarie, si rendono a pagamento gli interventi di cataratta per gli anziani, si spostano dalla fascia “A” alla fascia “C” centinaia di farmaci fino a ieri ritenuti indispensabili per la salute delle persone, si ipotizzano nuovi tagli alla spesa pubblica, sanità e sicurezza in testa.
Di balle ed elargizioni in questi due anni e mezzo di governo Renzi ne abbiamo sentite tante, ma le uniche elargizioni che al momento sono reali sono quelle fatte alle banche, in maniera diretta con dispendio di denaro pubblico al Monte dei Paschi di Siena e alla banca della famiglia Boschi e indiretta con l’approvazione di una norma che consente alle banche in difficoltà di poter effettuare prelievi forzosi sui conti correnti dei cittadini.
C’è poco da ragionare davanti ad una simile barbaria della politica, questo governo va spedito il prima possibile a casa prima che faccia ulteriori danni. Qui non è in gioco solo il futuro economico dell’Italia e delle prossime generazioni, qui è in gioco la nostra stessa democrazia e la nostra libertà.
Non crediamo che una dittatura sia solo quella che usa il manganello e olio di ricino per sottomettere gli avversari, ve ne una ben più pericolosa che con l’uso di altri strumenti ha il potere di sottomettere un popolo e piegarlo alle leggi dei grandi capitali che mirano ad incrementare il divario tra ricchi e poveri e rendere i lavoratori e le persone schiavi del sistema.
Questo è ciò che non era riuscito ai governi Berlusconiani ma che si sta realizzando con Renzi e il PD al governo. Questo è ciò che dobbiamo evitare ad ogni costo se vogliamo che la dignità dei cittadini italiani non venga svenduta alla mercè degli interessi della grande finanza.
La dignità ha un costo ed è il coraggio di non chinare la testa; di bugie e di promesse non mantenute è piena la nostra storia , ma è una storia che ci racconta anche di un popolo che nei momenti più bui ha saputo ribellarsi al manganello e all’olio di ricino, come ha saputo rispondere ai vari tentativi ripetuti negli anni di affossamento della nostra democrazia e ha saputo rispondere con dignità, sangue e coraggio alla strategia della tensione, alle devianze dei servizi segreti e al terrorismo delle brigate rosse. Lo sappiano bene Renzi e la sua banda di filibustieri, nei momenti che occorre il popolo italiano c’è sempre stato e ci sarà nuovamente il 4 dicembre quando con il NO al referendum prenderà a calci nel culo e manderà a casa una volta per sempre i nuovi fascisti tinti di rosso.

Tonino Ditaranto

giovedì 22 settembre 2016

Olimpiadi e disonestà intellettuale

Olimpiadi di Roma e la saga della disonestà intellettuale
Ho avuto modo di dire come la penso al riguardo già con alcuni post pubblicati sulla mia bacheca di face book; proviamo ora ad entrare un po più nel merito della questione e capire quali sono le ragioni che mi spingono a ritenere che la Sindaco Raggi abbia fatto la scelta giusta.
Lungi da me il voler in qualche modo apparire simpatizzante del movimento penta stellato, non è mai stato per me un punto di riferimento ne credo potrà mai esserlo per tutta una serie di ragioni che non starò qui ad elencare; qualunque siano state comunque le ragioni, di natura strumentale, populista, o di reale analisi economica della situazione finanziaria della propria città, un dato è inconfutabile ed è cioè che il rapporto tra spesa e benefici, oggi, di una eventuale olimpiade nella capitale non consente un dispendio di energie tali da permettere un ulteriore indebitamento per una città già alla prese con forti problematiche o per uno stato che stenta a ripartire e che ha un rapporto deficit-pil estremamente negativo.
Non sono a priori contrario alla organizzazione di grandi eventi; ci mancherebbe. Ritengo però che uno Stato che è attraversato da una forte crisi economica e sociale debba interrogarsi sulle priorità sulle quali intervenire per poter rilanciare l’economia del Paese e nel contempo far si che si affrontino problemi che al momento risultano essere dei veri e propri drammi.
E’ trascorso meno di un mese dal terremoto di Amatrice e sembra che la lezione sia già stata dimenticata. Un paese dove le scuole pubbliche crollano sotto la forza distruttiva di un terremoto che non raggiunge il sesto grado della scala Richter ha veramente bisogno di sprecare energie nella realizzazione di altre cattedrali nel deserto che come spesso accade resteranno inutilizzate dal giorno successivo alla fine dei giochi?
L’Italia ha un patrimonio edilizio scolastico in buona parte fatiscente o non a norma con le più elementari norme di sicurezza; stessa cosa si può dire del territorio a forte rischio di dissesto idrogeologico, cosi come la stragrande maggioranza degli alvei fluviali abbandonati a se stessi e privi di qualsiasi manutenzione ormai da decenni. Stessa cosa con il nostro patrimonio boschivo, abbandonato a se stesso, privo di qualsivoglia manutenzione e alla mercè di incendi che ogni anno mandano in fumo centinaia di ettari di bosco. Eppure le regioni, in virtù di un patto di stabilità da mantenere e grazie al taglio della spesa pubblica, hanno dovuto abbandonare completamente non solo i nuovi rimboschimenti ma anche la manutenzione di quelli esistenti, con le gravi e drammatiche conseguenze che noi tutti conosciamo e con le decine di vite umane perse che ancora reclamano giustizia.
E che dire dei tagli alla sanità, è allo studio della nuova finanziaria un ulteriore taglio di un miliardo, o della scuola pubblica divenuta ormai lo zimbello fra le scuole pubbliche di tutta Europa?
Non ci siamo. L’elenco delle priorità di questo Paese è cosi lungo che non basterebbero le pagine di un libro per elencarle tutte.
Eppure noi preferiamo renderci ridicoli, dimenticandoci di coloro che ancora oggi continuano a morire sotto le macerie delle scuole che crollano,  sotto le colline che franano, o travolti dai fiumi in piena che diventano le strade delle nostre città e avventurarci in polemiche strumentali sul diniego di un Sindaco ad un evento che avrebbe portato solo spreco di danaro pubblico e nessun beneficio per la cittadinanza se non per i soliti affaristi del cemento quasi sempre in combutta con il malaffare politico e con organizzazioni di carattere mafioso.
Quello che però fa più spece non è tanto il fatto che si possa essere anche contrari alla scelta del Sindaco di Roma, quanto il fatto che a gridare allo scandalo, in modo pretestuoso a mio avviso, sono gli stessi che ieri plaudivano alla identica decisione del Presidente del Consiglio Monti.
Cosa è cambiato da quattro anni a questa parte? In meglio nulla, se mai molti problemi tra quelli elencati si sono aggravati ulteriormente.
Signori siamo seri per favore, questo vostro comportamento si chiama disonestà intellettuale, una cosa che non mi appartiene e che mai vedrà il sottoscritto schierarsi a favore o contro qualcosa solo perché a proporlo sono miei avversari politici.
Oggi non è più il tempo in cui potevamo permetterci scelte sciagurate, tanto paga pantalone; oggi è il tempo di finirla con le elargizioni e le regalie a questa o quella impresa o cooperativa connivente solo perché ci assicura un pacchetto di voti. ma è il tempo in cui con determinazione dobbiamo cominciare a contrastare la politica del malaffare e della corruzione e se a dare l’esempio sarà una Sindaco grillina, ben venga, pur non essendo il sottoscritto un penta stellato, su questa scelta avrà tutto il mio appoggio.

Tonino Ditaranto

sabato 17 settembre 2016

CRONACA DI UNA STRAORDINARIA GIORNATA - SIAMO TUTTI ABD EL SALAM


CRONACA DI UNA STRAORDINARIA GIORNATA – SIAMO TUTTI ABD EL SALAM

Sono le nove del mattino, comincio le mie telefonate per invitare i compagni a partecipare alla manifestazione di Piacenza; la prima, la seconda, la terza e via dicendo fino alla trentesima. Tutti hanno altri impegni, comincio a pensare che ci devo andare da solo, partiamo male mi ripeto tra me e me. Ho il treno alle 13, 37, intorno all’una mi chiama Nello, un compagno rsu fiom di Savona che mi dice aspettami vengo anch’io. Mi rincuoro, almeno non sono solo.
In stazione incontriamo Valter volante rossa, sono felice, almeno lui, l’immancabile Valter con la sua fedele macchina fotografica è dei nostri.
Arriviamo a Piacenza con un quarto d’ora di ritardo e usciti dalla stazione si presenta subito davanti a noi uno spettacolo indescrivibile; centinaia di bandiere rosse sono in attesa di poter partire con il corteo.
Facciamo un giro per vedere di trovare compagni che conosciamo e quasi subito incontriamo Giovanni Paglia, un abbraccio spontaneo dopo quattro anni che non ci vedevamo e soprattutto dopo che ci eravamo lasciati non proprio in un bel modo a seguito dell’autoscioglimento del circolo SEL di Fidenza. No c’è stao bisogno di tornare sui vecchi rancori, gli occhi di entrambi dicevano all’altro mettiamoci alle spalle tutto, abbiamo sbagliato entrambi ma ora dobbiamo ricostruire.
Con Giovanni siamo subito d’accordo sul fatto che questo assassinio non va lasciato impunito e conveniamo sul fatto che bisognerà procedere alla costituzione di un comitato che si costituisca parte civile nella richiesta della verità.
Il corteo parte, lo aprono i facchini e le donne musulmane a lutto per la perdita di ABD EL SALAM e poi la fiumana di persone e bandiere a testimoniare la nostra rabbia.
Siamo posizionati all’incirca a metà del corteo, mi giro spesso ma non riesco a vedere la coda; dopo mezz’ora e con il corteo che ha percorso ormai più di un chilometro, la coda ancora deve partire dal piazzale della stazione.
Siamo a migliaia, qualcuno azzarda oltre i diecimila; non so quanti, ma siamo davvero tanti, come da anni non si vedeva un fiume di compagni sfilare intorno ad un unico slogan :  SIAMO TUTTI ABD EL SALAM.
Davanti a noi c’è il gruppo del PCL con il segretario nazionale Ferrando, il corteo sfila pacifico con i suoi mille colori listati a lutto ma anche con una grande voglia di ripartenza.
A metà percorso come usciti dal nulla si materializzano davanti a noi un gruppo di ragazzi vestiti di nero, con il cappuccio in testa con in mano grosse mazze di legno. Capiamo subito che si stanno preparando a fare i cretini. Ferrando rallenta il suo gruppo e si crea una spaccatura nel corteo. Bisogna assolutamente impedire che vi sia la spaccatura, sarebbe molto pericolosa. Con Nello ci avviciniamo a Ferrando e lo invito a stringere sul corteo che ormai si sta allontanando. Dopo alcuni disguidi, lui mi ha scambiato per uno della digos, ci capiamo e cosi riesco a convincerlo di stringere sul corteo in modo da evitare spaccature.
La tensione comincia ad alzarsi, ed interviene prontamente un gruppo di pompieri usb che riesce a spingere di lato i facinorosi.
La tensione è sempre alta, se la stanno prendendo con un ragazzo con la bandiera di rifondazione, a quel punto decido di intervenire e preso di petto quello che sembra il loro capo lo invito a modo mio a starsene calmi perché se continuano a fare i cretini se la devono vedere con noi. La discussione va avanti per alcuni minuti sotto gli occhi attenti della polizia che saggiamente decide di non intervenire e lascia che la diatriba si risolva tra di noi.
Si va avanti, finalmente gli incappucciati sembrano essersi calmati. Comincia a piovere e noi sempre avanti.
La pioggia diventa battente e il corteo comincia a sciogliersi; decidiamo di tornare indietro con Nello e Valter, ma la pioggia è sempre più forte. Ormai sima bagnati, e decidiamo di prendere un taxi. Ad un chilometro dalla stazione il taxi ci deve lasciare perché la strada è bloccata dalla polizia e non si passa, cosi ci lascia a piedi sotto ad un temporale di quelli che se ne vedono pochi.
Andiamo avanti, abbiamo un treno da prendere; ormai la pioggia non la sentiamo neanche più, non c’è un solo centimetro dei nostri vestiti che ormai non sia inzuppato fradicio.
Arriviamo in stazione che mancano cinque minuti alla partenza del treno; ci ferma la polizia che vuole vedere i biglietti per farci entrare in stazione. Finalmente sul treno, stiamo per partire e arriva di corsa una anziana signora con una borsa pesante che rischia di cadere sugli scalini del treno, prontamente afferrata da me e da Valter. Si lamenta della polizia che ha avuto il coraggio di chiedere anche a lei il biglietto nonostante il treno fosse in partenza.
Finalmente a Fidenza, di corsa verso casa e intanto i chicchi di grandine mi sbattono in testa.
Stanco, bagnato come da tempo non ricordavo, ma felice di essere stato li con migliaia di compagni venuti da tutta Italia senza che nessuno li avesse chiamati ma tutti con la speranza che da Piacenza possa rinascere la lotta che porta ai diritti.
ABD EL SALAM e morto sotto la mano assassina del padrone, ma noi tutti gli dobbiamo riconoscenza, perché se un giorno la coscienza di classe tornerà nelle piazze a lottare per un futuro di speranza, questo sarà stato anche grazie al sacrificio di ABD EL SALAM, un professore venuto da lontano per fare il facchino ed insegnare a noi tutti il prezzo della dignità.

Tonino Ditaranto

venerdì 16 settembre 2016

NESSUNO E' ABD EL SALAM

NESSUNO E’ ABD EL SALAM

Siamo tutti bravi nel dichiararci “ je suis” ogni qualvolta le tv ci propinano immagini forti dei vari charlie hebdo, ma nessuno lo ha fatto questa volta che a morire è stato un emerito sconosciuto, uno venuto da un paese lontano, un extracomunitario, uno che nel pensiero generale è venuto in Italia per rubarci il lavoro.
Eppure lui, che un lavoro  lo aveva trovato, assunto a tempo indeterminato, lui, che come tanti altri, noi benpensanti non disdegnamo di guardare spesso con gli occhi della diffidenza o nella migliore delle ipotesi con quella dell’indifferenza, lui appunto, uno venuto da lontano è venuto a morire  per insegnare a noi italiani che per il lavoro e la propria dignità si può anche morire.
La procura sostiene si sia trattato di un incidente stradale; falso. Decine di testimonianze di colleghi ma anche di addetti all’ordine pubblico ci raccontano una verità diversa, una verità che contrasta con il becero tentativo di mettere a tacere tutto come se nulla fosse successo.
ABD EL SALAM è finito sotto le ruote del camion di un altro povero cristo, lavoratore come lui, a cui il padrone ha messo in corpo una si tale pressione da spingerlo ad un gesto sconsiderato.
ABD EL SALAM non è morto sotto le ruote di quel tir, ma sotto la mano assassina di una classe padronale sempre più avida e indifferente alle esigenze della povera gente; è finito sotto la mano assassina di una logica che ha spinto le classi governanti del nostro paese ad assoggettarsi sempre di più alle classi dominanti e ai loro sporchi interessi, al punto di calpestare con atti ignobili, tipo il job act e lo smantellamento dello statuto dei diritti dei lavoratori, quelle conquiste che già il sangue di altri lavoratori ci aveva lasciate in eredità.
ABD EL SALAM è morto sotto la mano assassina della nostra indifferenza, di quanti come me e quel mondo della sinistra che abbiamo dimenticato il valore fondamentale della lotta nella grande battaglia di classe.
ABD EL SALAM è morto sotto la mano assassina di quella parte del sindacato, e sindacalisti da strapazzo capaci solo di guardare alla sedia dove appoggiare il proprio culo e spesso al soldo dei grandi poteri finanziari.
ABD EL SALAM, un compagno, un lavoratore, è morto per ridare a noi lavoratori la dignità che noi non abbiamo saputo mantenere.
Non ci resta che piangere un compagno, un compagno che non ha esitato a mettere il proprio corpo davanti a quel tir per ridare a noi la speranza che il lavoro torni ad essere uno strumento per vivere e non per morire.
SIAMO TUTTI ABD EL SALAM

Tonino Ditaranto

domenica 22 maggio 2016

I MENTECATTI

I mentecatti!
Che dire, altro aggettivo che non sia palesemente più offensivo, non mi viene in mente per definire gli spregevoli individui che cercano di strumentalizzare la pulizia morale e politica, anche in materia di costituzionalità di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao ad uso e consumo di una campagna referendaria per giustificare la porcheria di una riforma costituzionale che snatura e delegittima il parlamento ad esclusivo appannaggio di un unico partito o peggio segretario politico. Avremo altri momenti per entrare nel merito della riforma e spiegare per punto e per segno quali gravi conseguenze porterebbe alla democrazia italiana una sua eventuale approvazione definitiva; rimane oggi il fatto che Renzi e la Boschi, Premier e ministro in carica in forza di un complotto partitico esterno ad un Parlamento per altro eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale e quindi delegittimato a  legiferare in materia costituzionale, tentano con argomenti di bassa lega, richiamandosi in modo inappropriato e illegittimo a Berlinguer, Ingrao e finanche ai Partigiani di convincere gli italiani della bontà della loro porcata.
A questi signori voglio dire soltanto “ VERGOGNATEVI”, mentre ai loro servi sciocchi, che pure conoscono la gravità e la deriva democratica dove ci condurrebbe questa riforma, voglio ricordare che solo le persone senza palle non hanno il coraggio di ribellarsi ai soprusi e alle ingiustizie e per tanto meritano ampiamente di essere annoverati nella categoria dei lacchè che tra tutte le categorie di persone è senza ombra di dubbio la categoria più spregevole che possa esistere.

Tonino Ditaranto

domenica 10 aprile 2016

Le ragioni di una scelta

Le ragioni di una scelta.
Manca ormai una settimana al referendum di domenica 17 aprile quando noi tutti italiani saremo chiamati ad esprimere il nostro parere sulla possibilità di mantenere o meno in vigore la norma che consente di continuare le estrazioni petrolifere in mare entro le dodici miglia oltre la scadenza dei contratti di concessione e fino ad esaurimento dei giacimenti; una settimana nella quale ci è dato ancora tempo per riflettere sul quale debba essere il nostro comportamento e la nostra scelta elettorale.
Non sono mai stato contrario a priori allo sfruttamento delle risorse del nostro sottosuolo o di quello che può esserci sotto i nostri mari; non lo ero nel 2011 quando con una lettera al Sindaco di Montescaglioso gli chiedevo di opporsi al piano del governo per la ricerca di idrocarburi nella zona dei tre confini, non lo ero nel 2014 quando diedi vita al gruppo face book  “NON SIAMO COMITATINI SIAMO IL POPOLO LUCANO”, non lo ero nel novembre del 2014 quando scesi a Matera per la grande manifestazione contro le trivelle e non lo sono ancora tutt’oggi nonostante il mio fermo schieramento a favore del SI al referendum.
Allora se non ero e non sono contrario alla possibilità di sfruttare questo genere di risorse, perché tutto questo mio impegno in questi anni contro le trivelle e per le ragioni del SI?
Ieri ho trascorso una splendida giornata a Vigevano (PV) ospite del circolo Lucano “Rocco Scotellaro” che proprio al nostro grande conterraneo poeta contadino e a Carlo Levi aveva dedicato la giornata con l’inaugurazione di una mostra di splendidi lavori del nostro artista Nicola Filazzola; durante la serata e proprio dalle parole contenute nel Cristo si è fermato ad Eboli di Levi ho trovato la risposta giusta a quello che già sapevo ma che ancora non riuscivo a collegare. Carlo Levi, parlando delle nostre terre, parla di terre sconfinate che mai diventano campagna.  Ecco, la terra che mai diventa campagna, quella terra arida arsa dal sole che non porta frutti perché la povertà delle genti lucane non aveva mai consentito quel salto di qualità per farla diventare vera campagna, ossia quella campagna in grado di produrre prodotti della terra che portassero ricchezza e sviluppo economico. Questo però appartiene al passato mi sono detto; da Levi e Scotellaro sono passati decenni, decenni nei quali i nostri contadini, con caparbietà e anche lasciando il sangue sul terreno, Novello fu ucciso nella lotta per quelle terre, nel corso degli anni hanno trasformato quelle terre aride che tanto avevano impressionato Carlo Levi, nella più bella e florida campagna al punto da meritarsi l’appellativo di California d’Italia. Si può sacrificare tutto questo, il sudore di anni di sacrifici dei nostri uomini e delle nostre donne solo perché qualcuno invece che la California ci ha voluto vedere il Texas? Io ritengo che si sarebbe stata anche la possibilità di una convivenza tra una agricoltura avanzata e intensiva come quella di diverse zone della Lucania e lo sfruttamento di risorse del sottosuolo, se solo queste ultime avessero rispettato la prima con l’occhio di chi guarda al vicino non come una rivalità ma come una possibilità
Cosi non è stato, e non poteva essere diversamente in uno Stato dove il potere politico, quasi sempre si è intrecciato con quello economico al solo fine di trarre vantaggi per esso e per pochi eletti senza scrupoli disposti a tutto, anche a portare la morte, pur di salvaguardare i propri interessi.  L’inchiesta dei giudici lucani di questi giorni lo di ce chiaramente, non è il petrolio in se che ha arrecato avvelenamenti delle nostre acque e delle nostre terre, bensì il mancato rispetto delle più elementari regole di civile convivenza nel trattare i rifiuti solidi e liquidi per quelli che erano.  Di questo non sono responsabili solo i petrolieri che estraggono e non rispettano le regole ma lo sono al loro pari anche tutta la classe politica regionale e nazionale che avrebbero dovuto sorvegliare ed impedire questi comportamenti criminosi e che invece con loro si sono collusi in una associazione a delinquere di carattere criminoso. Se solo in tutti questi anni si fossero effettuati controlli reali ed approfonditi, se solo si fosse dato ascolto ai contadini del posto che lamentavano incongruenze nei loro terreni, se solo si fosse prestato attenzione alle tante voci che dal popolo denunciavano tutto quello che non andava, se solo si fosse appunto, non saremmo arrivati a questo punto e si sarebbe potuto correre ai ripari. Invece non lo si è fatto; Ai pastori che denunciavano la moria di pecore si è risposto che tutto andava bene; il funzionario pubblico che ha fatto analisi per conto suo per dimostrare che non andava per nulla bene è stato licenziato e condannato per divulgazione di segreti d’ufficio; la ricercatrice che ha tentato di dimostrare con dati alla mano che i valori erano decine di volte fuori norma è stata calunniata e fatta oggetto dei più biechi e sporchi attacchi menzogneri.
Questa è la situazione in Basilicata e questa è la situazione anche in tutte le altre aree italiane sia di terra che di mare dove si estraggono petrolio o gas naturale.  Andare a votare e votare SI al referendum non vuol dire rinunciare allo sfruttamento delle nostre risorse naturali, ma continuare a farlo nel rispetto dell’ambiente che ci circonda, della salute dei nostri cittadini, della nostra agricoltura, della nostra industria della pesca, del nostro turismo e soprattutto della salute di quei lavoratori che qualcuno vuol farci credere rischierebbero il posto di lavoro ma chi di fatti oggi rischiano la vita perché respirano i veleni che ammorbano l’aria del loro posto di lavoro.

Tonino Ditaranto

domenica 31 gennaio 2016

Gli invisibili, ovvero i censurati

Era un dubbio che ci affliggeva da tempo, fin da quando per la prima volta provammo a scrivere della situazione creatasi davanti ai cancelli della Bormioli, con i facchini a presidiare i cancelli per rivendicare diritti venuti meno; il dubbio che qualcuno tentasse in qualunque modo di minimizzare la loro protesta e che dietro vi fosse una regia ben precisa, è stato definitivamente fugato oggi nello scorrere l’intera Gazzetta di Parma e non trovare una sola riga sulla manifestazione di ieri pomeriggio a Parma che ha visto sfilare per le strade cittadine oltre mille facchini venuti a portare la loro solidarietà ai loro colleghi di Fidenza. Strano come possano trovare ampio spazio su un giornale di fatti locali una famigliola di galli che disturbano il sonno mattutino dei salsesi (i galli da che mondo è mondo hanno sempre cantato) mentre nessuna voce viene data a chi protesta per la perdita di diritti e soprattutto del posto di lavoro. Avevamo pensato si fosse trattato di mancanza di spazio quando non abbiamo visto pubblicato il comunicato dei lavoratori in lotta che noi stessi ci premurammo di far ricevere al corrispondente locale della gazzetta che oltre a ribadire le proprie sacrosante richieste, tra l’altro chiedeva anche scusa ai lavoratori Bormioli per il disagio arrecato. Eppure di articoli al riguardo sulla gazzetta ne abbiamo visti diversi. Abbiamo letto l’intero comunicato dell’rsu aziendale, quello dei sindacati firmatari dell’accordo, quello del sindaco e altri ancora, tutti premurosi nel ribadire che l’accordo era un ottimo accordo mentre invece non una sola volta abbiamo letto le ragioni di chi quella protesta la sta portando avanti ormai da oltre un mese, neanche il comunicato dell’area di minoranza della CGIL che prendeva le distanze dalla manifestazione voluta dall’rsu e avallata dalle segreterie provinciali che ha portato una parte, fortunatamente non tutta, degli operai Bormioli a scendere in piazza in contrapposizione dei facchini in lotta e per rimarcare la “legittimità” dell’accordo.
Non siamo mai entrati nel merito dell’accordo stesso, che per quel che ci riguarda potrebbe essere per davvero migliorativo, anche se siamo convinti del contrario; questo però non giustifica il fatto che a sottoscriverlo siano stati sindacati che al momento della sua stesura rappresentavano una piccolissima parte degli operai interessati.  La situazione attuale è che alla data del 15 gennaio, ai 15 lavoratori iniziali di cgil e cisl che avevano sottoscritto l’accordo, altri 20 lavoratori hanno accettato il passaggio sotto la nuova cooperativa l’ultimo giorno di scadenza chiaramente sotto il ricatto della perdita del posto di lavoro, (come dar loro torto quando si ha famiglia da mantenere); altri 23 invece non hanno accettato l’accordo con il conseguente risultato di aver perso il posto di lavoro. Stiamo parlando di 23 lavoratori fidentini, abitanti a Fidenza con le rispettive famiglie e che ad oggi vanno ad aggiungersi ai tanti disoccupati che purtroppo conosce la nostra cittadina. E’ mai possibile che di fronte al rischio divenuto di fatti realtà della perdita di 23 posti di lavoro la politica fidentina non sia riuscita ad interrogarsi se vi fossero delle forbici all’interno delle quali provare a ricucire uno strappo dovuto solo alla pessima abitudine di mantenere orgogliosamente delle posizioni prese sia da una parte che dall’altra? Personalmente ho provato a far ragionare l’altra parte, invitando i lavoratosi a sospendere i blocchi ai cancelli e mettere in atto forme di lotta più democratiche e meno radicali, con il risultato di essere stato io stesso allontanato dal presidio degli operai dagli stessi dirigenti dei cobas che probabilmente non gradivano la mia intrusione; Mi chiedo però quale sarebbe stato il risultato se al mio posto ci fosse stato il Sindaco o l’Amministrazione comunale o magari gli stessi sindacati o i lavoratori Bormioli ai quali pure avevano chiesto scusa i facchini, a venire incontro o per lo meno a cercare di capire le ragioni di tale protesta? Questo non lo sapremo mai e le ragioni sono molto evidenti; i sindacati erano solo preoccupati a giustificare un accordo cui loro non erano legittimati a firmare; Sindaco e Amministrazione hanno sposato convenientemente la tesi dei sindacati, facendosi anche dettare le sigle da invitare all’incontro della commissione sicurezza e rifiutando la parola ai facchini presenti; i cobas impegnati nel voler dimostrare la logica di chi ce l’ha più duro e la gazzetta dal canto suo a reggere il gioco di chi in tutta questa vicenda ha l’interesse a voler dipingere i lavoratori protestanti come degli scriteriati se non proprio dei delinquenti. In tutto questo si inserisce rete civica che per aver avuto la cattiva idea di smuovere le acque si è ritrovata accusata di aver minacciato Sindaco e Segretario Provinciale della CGIL.

Risultato di tutto questo: 23 lavoratori rimasti senza lavoro.

domenica 24 gennaio 2016

Bormioli: comunicato stampa della minoranza CGIL

SINDACATOALTRACOSAOPPOSIZIONECGIL PARMA
COMUNICATO STAMPA


Questa mattina a Fidenza la Cgil di Parma ha organizzato una manifestazione dei      “ veri” lavoratori della Bormioli Rocco ( questi sono i termini consegnati agli organi di stampa)  a sostegno dell'accordo siglato riguardo il cambio di appalto per la gestione dei magazzini e congiuntamente contro,  quella che  da loro viene definita,  una strumentalizzazione dello stesso da parte di pochi lavoratori iscritti ad un “sindacatino” di base,  contro gli interessi generali e complessivi di tutti gli addetti. Il sindacato è un'altra cosa di Parma , opposizione in Cgil,  ritiene che questo sia stato un gravissimo errore politico, dal quale prendiamo le distanze. Sbaglio che, peraltro,  apre un precedente pericolosissimo sul territorio per la brutale repressione subita da questi lavoratori e coloro che gli hanno portato solidarietà ad opera delle forze dell'ordine. Repressione che quando volgerà lo sguardo verso altri lavoratori che lotteranno con forme di lotta altrettanto radicali non farà molte distinzioni sulle intestazioni delle bandiere, ma gli basterà riconoscere il colore rosso. La nostra critica, non è mossa da una polemica sui contenuti del cambio di appalto, che come ogni accordo è figlio della propria vertenza e del contesto sociale complessivo, quanto piuttosto sul metodo adoperato dalla Cgil e la categoria di riferimento  per gestire il consenso a fronte delle diverse sensibilità sindacali presenti in quel magazzino, laddove pare che il sindacato di base esprimesse anche la maggiore rappresentatività. E se è certo vero che nel passaggio alla cooperativa subentrante quasi tutti i posti di lavoro sono stati tutelati, nella stessa misura non si può negare l'attacco aziendale ai livelli di inquadramento dei facchini, che avevano sicuramente le loro legittime e sacrosante ragioni per non essere soddisfatti a pieno.  Di converso, Va anche detto molto chiaramente che se un sindacato, qualsiasi esso sia,  rivendica di rappresentare ed organizzare dei lavoratori maggioritariamente deve assumersi la responsabilità di stare al tavolo e condurre la trattativa in prima persona. Sottrarsi da questo compito “mandando” al tavolo i lavoratori da soli ha diminuito la forza degli stessi, li ha esposti maggiormente alla repressione, oltre al fatto che se i funzionari non vanno nemmeno agli incontri,  vien da chiedersi davvero che ruolo abbiano giocato in questa lotta,  oltre a quello di cadere insieme alla Cgil nel tranello dell'azienda, che non ha fatto null'altro che il suo lavoro, meglio noto come “ dividi et impera”, ma forse non ancora noto sufficientemente. Farsi carico della minaccia aziendale , ovvero,  che il permanere dei blocchi avrebbe compromesso il lavoro di tutti è stato ingenuo nella migliore delle ipotesi, ma fare una manifestazione cittadina che ha,  nei fatti,  messo lavoratori contro lavoratori è stato semplicemente irresponsabile. Nella stessa misura confidiamo che questa triste pagina suggerisca una riflessione anche al SI-COBAS , che in alcuni passaggi della vertenza ha probabilmente confuso l'importanza della solidarietà nella lotta con il sostituzionismo. Il fronte di lotta si costruisce innanzitutto nel luogo di lavoro interessato  e non si può importare dall'esterno,. Anche in questo caso le ragioni dovrebbero essere più che ovvie, ma così non è stato. Fino a quando tutto il mondo sindacale non comprenderà l'importanza di marciare anche separati, ma colpire uniti, il padronato di questo paese continuerà a brindare sul nostro sangue ed i nostri nervi.

venerdì 22 gennaio 2016

Mi scusi signor padrone, ossequi a vossia!!!!

Mi scusi signor padrone, ossequi a vossia!!!
Mi scusi signor padrone, ossequi a vostra signoria; scusatemi di cuore, non volevo arrecarvi danno, cosa posso fare per farmi perdonare? Le accettate un fazzoletto di uova? O volete che vi porto uno di quei conigli che crescono nel mio cortile?
Vi sembrerà una cavolata, ma è proprio quello che succedeva nel lontano sud nella prima metà del secolo scorso, quando presi dalla rabbia e dalla disperazione i contadini ed i braccianti del meridione diedero vita alla più grande rivoluzione dei lavoratori contro i grandi latifondisti. Era il ‘ 49 e i braccianti di Montescaglioso, guidati dalla CGIL, occuparono le terre dei vari conti e marchesi lasciando sulla terra il sangue di Giuseppe Novello. Stessa cosa a Melissa in Sicilia e in tanti altri comuni di tutto il mezzogiorno d’Italia. Ecco, la storia di quei giorni, tramandatami da mio padre, bracciante agricolo e da mia madre. Entrambi protagonisti di quelle occupazioni e dai tanti altri compagni arrestati per quelle sommosse hanno fatto si che in me nascesse un amore profondo non solo per l’idea del comunismo, ma anche per quel sindacato, la CGIL, nella cui sede ho trascorso buona parte della mia giovinezza, sempre in prima linea nella difesa dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori e non solo di una parte di essi, e che mai si era tirata indietro, almeno fino ad oggi, nel combattere le strategie padronali che da sempre hanno cercato i modi per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri. Dividi et impera, la solita strategia che mai era riuscita a scalfire il mondo del lavoro e che ora, a quanto pare, sta diventando la consuetudine quotidiana.
Che tristezza osservare oggi un corteo di lavoratori per le vie di Fidenza, sindacato e amministrazione comunale in testa, che gridava i veri lavoratori siamo noi; e gli altri, quelli che ormai hanno perso il posto di lavoro, quelli che sicuramente hanno sbagliato strategia di lotta ma che non hanno avuto alcuna solidarietà, che sono? Sono forse dei delinquenti? No signori, sono Lavoratori come voi; sono padri di famiglia che lavorano come voi o magari con orari di lavoro più proibitivi dei vostri e che hanno anch’essi figli da sfamare. Bollette da pagare e mutui da restituire. L’unica loro colpa è stata quella di non aver chinato la testa, quella cioè di non aver accettato inconsapevolmente il taglio di cento euro di stipendio. Ma finiamola di dire fesserie, finiamola di voler colpevolizzare persone che lottano per i loro diritti con scempiaggini tipo l’arrecare danni ad altri lavoratori o all’azienda e di non voler accettare un accordo migliorativo. Qui le uniche persone che hanno subito un danno sono quelle persone che ormai sono rimaste senza lavoro e che da domani saranno costretti a rivolgersi ai servizi sociali per andare avanti o alla caritas per un pasto caldo.

Ho trascorso dicevo la mia giovinezza nella sede della CGIL ad organizzare scioperi e manifestazioni, ho dato anni della mia vita per quel sindacato, ma se la CGIL è diventata ciò che ho visto oggi in piazza allora devo dire che sono davvero disgustato.

sabato 16 gennaio 2016

Nient'altro che bestie.

Nient’altro che bestie.
Ma che razza di bestie stiamo diventando; possibile che nostri concittadini protestano da giorni per il  mantenimento del posto di lavoro e dei propri diritti di lavoratori che non vogliono sottostare alla mercificazione del lavoro e del salario, prendono le botte, manifestano in solitudine per le vie del centro alla ricerca di un minimo di solidarietà e noi, noi tutti benpensanti, noi che fregiamo del titolo di persone civili, attenti alle problematiche della società, lasciamo che il tutto avvenga sotto i nostri occhi nella più totale indifferenza? Possibile?
Ancora ieri sera i facchini della Bormioli sono stati sgomberati dal presidio davanti ai magazzini della Bormioli dalla polizia in tenuta antisommossa e inseguiti fin’anche in tangenziale, si perché non basta allontanarli dal picchetto, li si deve inseguire per centinaia di metri perché devono capire chi comanda, chi è il vero padrone. E loro, i lavoratori, con grande tenacia, Ma anche con la forza della disperazione di chi non ha nulla da mangiare, a tarda sera improvvisano ancora un corteo per le vie del centro completamente deserte sperando che il loro urlo di disperazione arrivi finalmente a qualcuno che possa prestare l’orecchio per l’ascolto.  Ma chi, chi può ascoltare la voce di chi non viene creduto perché già il fatto stesso che ha un colore di pelle diversa dalla nostra, li pone in una condizione di essere nel torto? Possono essere creduti forse da quel sindacato che giorni addietro ha firmato un accordo senza alcuna legittimità di rappresentanza alle spalle degli stessi lavoratori e che poi ha fatto di tutto, anche con vistose bugie per screditare il movimento dei facchini? Possono essere creduti dagli organi di stampa locale, che tutti i giorni pubblicano articoli che vanno esclusivamente in un’unica direzione senza mai dare voce alle legittime richieste dei lavoratori? E possono essere creduti da quella politica locale, completamente assente e complice mi verrebbe da dire di un progetto che vuole vedere il lavoro sempre più schiavizzato dalle logiche della concorrenza. Ma esiste una coscienza civile in questa nostra cittadina? Esiste una amministrazione comunale? Se anche i facchini avessero torto marcio, come qualcuno vuole farci credere, a nessuno viene in mente che se operai che guadagnano con il proprio stipendio quel poco con il quale non riescono a vivere, passano notti davanti ai cancelli di una fabbrica o asserragliati al freddo sopra al tetto di un capannone una ragione deve pur esserci? E noi, non abbiamo per caso l’obbligo morale e civile di ascoltare ciò che loro hanno da dirci? Io non entro nei termini dell’accordo sottoscritto da cgil e cisl, sono problemi di strettissima natura sindacale, mi pongo però la domanda di quale legittimità possano avere dei sindacati che non rappresentano la maggioranza dei lavoratori di firmare accordi senza che i lavoratori stessi li abbiano approvati. Fidentini, non è in gioco in questo momento solo il futuro dei facchini della Bormioli, è in gioco la nostra stessa natura di persone civili e solidali, che non lasciano in balia delle onde in un mare in burrasca dei propri fratelli; è in gioco la stessa credibilità di una società costruita sui valori del mutuo soccorso e dell’attenzione alle esigenze di tutte le persone. L’uomo asserragliato sul tetto del capannone ieri sera e che minacciava di buttarsi di sotto, è una persona alla cui famiglia è stata staccata l’acqua potabile nei giorni scorsi; cosi non possiamo continuare, diamoci una mossa altrimenti non ci resta che accettare il fatto che stiamo diventando tutti delle bestie.

Tonino Ditaranto 

sabato 9 gennaio 2016

Articolo 1: difendere il posto di lavoro è reato

Art. 1: Difendere il posto di lavoro e il proprio salario è reato.
Una volta la nostra Costituzione recitava al suo primo punto che l’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro, oggi sarebbe più giusto dire che è una reggenza antidemocratica dove il lavoro non è più un diritto e chi manifesta per il mantenimento del proprio posto di lavoro commette un grave reato. Resistenza a pubblico ufficiale e violenza privata nel caso degli operai addetti al facchinaggio presso la Bormioli di Fidenza che ieri sono stati letteralmente caricati di peso nelle camionette e portati in Questura, per il semplice fatto che stazionavano seduti per terra, in modo estremamente pacifico e senza alcuna violenza davanti ai cancelli dei magazzini della Bormioli. Quale è la colpa di questi onesti lavoratori? E’ forse una colpa difendere il proprio posto di lavoro, fonte di reddito per famiglie che già devono fare grandi salti mortali? O è forse un reato non accettare l’accordo raggiunto tra la cooperativa che subentra nella Bormioli e i tre sindacati CGIL, CISL, UIL, sempre più servi dei padroni, che tutte e tre insieme rappresentano una minima parte dei lavoratori interessati, e che prevede il passaggio degli stessi sotto la nuova cooperativa rinunciando ai diritti acquisiti negli anni e soprattutto agli accordi fatti in precedenza con la vecchia cooperativa?
A leggere la Gazzetta di Parma di oggi, sembra quasi che questi lavoratori sono degli ingrati e che non si capisce il motivo della continuazione della protesta. Certo, si dice dalle mie parti che chi è sazio non crede a chi invece è costretto a digiunare. Il problema vero è che l’Italia si sta avviando verso uno stato di cose che prevede sempre di più la schiavizzazione del mondo del lavoro. Si è cominciato con le leggi sul precariato, lo smantellamento dell’art. 18, l’approvazione dello job act, il continuo affidamento dei servizi essenziali anche della pubblica amministrazione e dei servizi a ditte esterne, quasi sempre cooperative che nella stragrande maggioranza dei casi schiavizza i lavoratori con ore di lavoro sottopagate e senza riconoscere reali diritti. Arrivai a Fidenza venticinque anni  fa e ricordo ancora molto bene le mobilitazioni sindacali e l’impegno delle Amministrazioni comunali per difendere anche un solo posto di lavoro; quella solidarietà che ci faceva essere una vera società civile che fine ha fatto? Dove sono finiti i diritti di chi lavora? E i sindacati, quelli ufficiali per intenderci come mai hanno perduto negli anni la quasi totalità degli iscritti? Cosi non può andare, il diritto al lavoro e ad un giusto salario non deve mai essere messo in discussione, e quando coloro che dovrebbero difendere tali diritti, fanno sempre più spesso accordi con i padroni a discapito dei lavoratori, come nel caso dei facchini della Bormioli, o quando Amministrazioni comunali svendono servizi pubblici essenziali come l’assistenza agli anziani, per affidarli a cooperative esterne solo perché si deve rispondere alla logica delle privatizzazioni, allora vuol dire che i lavoratori non hanno più rappresentanza e che l’articolo uno della nostra Costituzione altro non è che la più grossa presa per i fondelli.

Tonino Ditaranro

venerdì 8 gennaio 2016

VERGOGNA- LA POLIZIA SGOMBERA CON LA FORZA IL PICCHETTO DEGLI OPERAI DAVANTI ALLA BORMIOLI

VERGOGNA!!!!
Oggi 8 gennaio 2016, la polizia al servizio dei padroni ha sgomberato il picchetto di operai che da prima di Natale stazionava davanti ai cancelli della Bormioli per difendere il posto di lavoro.
L’Intervento delle forze speciali antisommossa contro un gruppo di pacifici operai seduti per terra, non ha alcuna giustificazione se non quella di rispondere al richiamo della Bormioli, azienda privata, contro ogni logica sindacale. Al momento, uno degli operai caricati di forza sulle camionette della polizia risulta ricoverato all’ospedale di Parma con forti traumi dovuti al modo barbaro con cui è stato sollevato da terra e caricato di forza sulla camionetta, mentre una cinquantina di operai sono attualmente trattenuti in Questura senza alcuna giustificazione se non l’ignobile tentativo di impaurire gli stessi operai. A tutto questo si aggiunge la vergognosa posizione della CGIL di Fidenza che nonostante non rappresenta nessuno dal momento che ha pochissimi iscritti tra i lavoratori del facchinaggio, ha raggiunto un accordo con la Bormioli alla spalle dei lavoratori.
A questo vergognoso atto antisindacale e antioperaio, c’è ora bisogno di una risposta unanime di tutta la società civile, per questo rivolgo l’invito a tutte le forze politiche, all’amministrazione comunale e al Consiglio comunale affinchè tutti insieme si promuovano quelle iniziative per tutelare i diritti dei lavoratori.

Tonino Ditaranto